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Florinda Saieva - La rigenerazione urbana secondo Farm Cultural Park a Favara

"Farm è un luogo in cui devi vivere, devi starci, bisogna viverla dall’interno”, esordisce Florinda Saieva in una conversazione a distanza, obbligata in questo periodo. Ma la distanza fisica non si sente, perché la passione con cui ci racconta della Farm, di Favara e dei nuovi progetti ci aiuta a sentirci lì, con lei, nell’attesa di poterci andare presto in questo posto “che rende felici”.



Farm Cultural Park è un Centro Culturale e Turistico Contemporaneo diffuso, insediato nella parte più antica del centro storico di Favara, un paesone a 6 km dalla Valle dei Templi di Agrigento in Sicilia. Organizza mostre temporanee e permanenti di artisti famosi ed emergenti, residenze per artisti, workshop, presentazioni di libri, concorsi di architettura, festival. Gli interni degli edifici, spazi semi-abbandonati del centro e i muri di 7 cortili sono stati recuperati e ricoperti di opere d’arte site-specific, fondendo arte, architettura e natura. Nel 2011 ha vinto il Premio Cultura di Gestione di Federculture e nel 2012 ha ricevuto l’invito alla XXIII Biennale di Architettura di Venezia. E’ stata lanciata un’innovativa Scuola di architettura per bambini, partendo dal modello creato dall’architetto giapponese Sōsuke Sou Fujimoto. Ha ospitato la prima edizione della Scuola Prime Minister, per giovani donne fra 14 e 18 anni che vogliono intraprendere un percorso di formazione alla politica. Le attività sono veramente moltissime, rendendo la Farm un’esplosione di vitalità culturale locale, connessa alle avanguardie del mondo.


La Farm è uno straordinario esempio di rigenerazione urbana a base culturale originata dall’iniziativa personale di Florinda Saieva e suo marito Andrea Bartoli, rispettivamente avvocata e notaio, che hanno lasciato Parigi per tornare in Sicilia. “Quando io e Andrea abbiamo iniziato ad acquisire gli immobili, nel 2008, pensando di aprire la Farm quattro anni dopo, parlare di rigenerazione urbana era veramente arduo, soprattutto a Favara, e soprattutto a base culturale”.


"Ho deciso di dedicare la mia vita alla bellezza, alla creatività e alla ricerca della felicità". Andrea Bartoli


La realizzazione del progetto ha subito un’accelerazione dopo la tragica morte di due bambine a seguito del crollo di un immobile nel centro storico, nel gennaio 2010. La reazione immediata degli abitanti del paese è stata di rimuovere il problema attraverso la demolizione. “A quel punto per dare una risposta veloce alla situazione abbiamo deciso di iniziare subito i lavori di ristrutturazione e sei mesi dopo abbiamo aperto la Farm. Per quanto volessimo spiegare ai cittadini quale fosse il nostro progetto, i tempi stretti ci hanno obbligato solo a raccontarlo, non coinvolgendoli nella fase iniziale di progettazione. La partecipazione vera e propria è arrivata dopo, quando sono arrivati i turisti e con loro l’esigenza di ospitarli in strutture adeguate e di offrire loro luoghi in cui mangiare. Se avessimo deciso di gestire noi i servizi, ristoranti, B&B e avere un’egemonia su tutto, probabilmente non ci sarebbe stata partecipazione e apertura da parte degli abitanti. Abbiamo condiviso tutto, invece, abbiamo restituito delle case private ad uso pubblico, comunitario, e abbiamo iniziato a prenderci cura della nostra città e, indirettamente, delle persone. Abbiamo creato un’impresa che ha consentito a tutti di fare gli imprenditori: la comunità ha capito che il nostro progetto aveva effetti economici importanti sulla città e non solo. Per gli abitanti, soprattutto quelli della mia generazione, cresciuti in un paese diverso da quello che era nel 2010 (negli anni ‘60 c’erano tre cinema, quando abbiamo aperto la Farm non ce n’era neanche uno). Riuscire a riappropriarsi della propria città, riuscire a viverla e restituire ai propri figli una dimensione di vita migliore è stato molto importante”.


Le prime istituzioni ad accorgersi di Farm e Favara sono state le Università, come luogo di ricerca e progettazione. “Siamo e siamo stati un luogo di ricerca, sono state scritte tesi, abbiamo ospitato negli anni molti studenti universitari che sono venuti a Favara da tutto il mondo per confrontarsi con noi”. La Farm si è accreditata presso altre istituzioni, il pubblico e realtà culturali italiane e internazionali.


L’impatto con la realtà siciliana è stato generativo. Sulla scia di Farm sono nati diversi progetti nella regione. Farm è stata l’occasione per accendere un faro su tutte quelle realtà che stavano facendo qualcosa sui territori o che erano indecise. Favara è un grosso paese, ma prima di Farm noi eravamo il paese dove si era nascosto Brusca e in qualche modo sapere che Favara ce la stava facendo, ha infuso ottimismo a tutto il territorio siciliano. La Farm ha restituito la dimensione della “possibilità di fare” ai Siciliani, cresciuti con la convinzione che solo abbandonare la terra d’origine avrebbe permesso loro di avere opportunità per il futuro. Con Farm abbiamo dimostrato che rimanere e investire può rappresentare una risorsa, un’opportunità.”


Farm è prima di tutto un luogo fisico di sperimentazione culturale per molti artisti e architetti, un luogo in cui avere la libertà di provare e anche sbagliare. “La nostra mission è parlare con le persone che non parlano la nostra stessa lingua e farci capire. Mettiamo insieme gli abitanti di Favara con gli esperti che arrivano dal resto del mondo. L’incontro reciproco permette agli abitanti di conoscere artisti, architetti, innovatori che però a loro volta entrano in contatto con la realtà locale, mettendosi in gioco per contestualizzare e inserire i loro progetti nel paese. Per noi è importante creare un match tra la “vita reale” e la vita creativa e visionaria, ibridare. Chiediamo sempre agli artisti che ospitiamo di interfacciarsi anche con le persone che abitano qui. Gli artisti possono avere una funzione di mediazione sociale, aiutare l’inclusione”.




I cittadini partecipano alle iniziative di Farm? “Non sempre è facile coinvolgere gli abitanti. A volte partecipano tante persone che vengono da fuori e poche di Favara. Qualche mese fa abbiamo chiesto ad un sociologo urbano di fare un lavoro di ricerca per capirne il motivo. Abbiamo capito che si è verificata una sorta di “istituzionalizzazione” di Farm: molte persone hanno risposto che Farm per Favara è come il Colosseo per Roma, sai che è un patrimonio, ci vai se avviene qualcosa di particolare o porti i parenti e amici che vengono da fuori, per fare “bella figura”. Non lo sentivano proprio”.


Florinda e Andrea hanno riflettuto su un modo diverso per favorire la partecipazione. E’ nata una proposta per la comunità locale, un coinvolgimento di secondo livello dei cittadini. “Da poco è nata la SpAB, Società per Azioni Buone, per mettere a valore il patrimonio umano e i risparmi privati locali, senza dipendere dai fondi pubblici. La SpAB si prenderà cura della città partendo dalle cose più semplici, ma basilari: l’abitare, la qualità della vita e il lavoro. Gli azionisti sono i cittadini di Favara e tutte le persone che credono nella Farm. Come Parmalat o Antonveneta potremmo fallire anche noi; però se SpAB fallisce, avremo comunque aiuole in più, alberi, un patrimonio reale che ritorna agli azionisti locali, in termini di qualità della vita e impatto sociale positivo. Non è più la Farm che si prende cura della città, ma siamo tutti noi cittadini attivi, leader civici, a farlo. Il cittadino attivo che si impegna, investe direttamente e personalmente, si sente realmente ingaggiato”.


Il modello più avanzato di rigenerazione urbana si costruisce proprio oggi, a Favara.




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