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Anna Prat - Le funzioni urbane: àncore inconsapevoli per la città, i quartieri e le comunità


Le grandi funzioni urbane - università, grandi complessi formativi, ospedali, istituzioni culturali, impianti sportivi, utilities, infrastrutture, agenzie pubbliche e sedi di enti locali, ecc – sono tra i soggetti meno considerati in termini di impatto e possibile ruolo attivo nel trasformare i territori e luoghi in cui sono insediati. In inglese vengono definite, nella letteratura degli studi urbani, “anchor institutions”, funzioni àncora, perché ad esse di “attacca” lo sviluppo urbano di un’area.


Queste grandi funzioni urbane hanno in genere una mission di scala metropolitana, regionale, nazionale, addirittura internazionale. Hanno numerose caratteristiche che le rendono rilevanti anche per i territori: si tratta in genere di funzioni ospitate in grandi edifici o complessi, spesso monofunzionali, sviluppati su aree di notevoli dimensioni. Il primo impatto evidente è quindi il ruolo che giocano nella strutturazione del tessuto urbano e della vita del quartiere. Viste le dimensioni e complessità sono anche asset e operazioni immobiliari di rilievo. Il secondo impatto è legato al fatto che attraggono e ospitano quotidianamente numerosissimi lavoratori, utenti o clienti, che usano temporaneamente il quartiere e i suoi servizi. Sono acquirenti importanti di beni e servizi locali ed extra locali. Dal punto di vista dell’economia del territorio in cui sono insediati, sono in grado di caratterizzare l’identità dell’area, i valori del mercato immobiliare e le sue caratteristiche (in termini di mercato residenziale, produttivo e commerciale, che può essere “ancorato” a queste funzioni). A volte producono anche esternalità negative nei confronti delle aree circostanti, quali traffico, aumento dei prezzi, spostamento di altre attività.


Gli impatti delle istituzioni ancòra. Fonte: ICIC (2011), Anchor institutions and urban economic development: from community benefit to shared value


Ma raramente gli enti pubblici, o che lavorano nell’interesse pubblico, che gestiscono queste funzioni strategiche hanno consapevolezza del loro impatto sugli ecosistemi urbani in cui sono localizzati, e viceversa di quanto dipendono dalla loro qualità, attrattività, accessibilità, ecc. – fattori forniti da altri soggetti. Gli edifici e le attività raramente sono stati concepiti, soprattutto negli ultimi due secoli, tenendone conto, ma l’approccio si è modificato di poco negli ultimi decenni. Sono grandi complessi in genere chiusi verso l’esterno, che producono idee, beni e servizi al loro interno e per i loro utenti, muovono grandi flussi, ma scambiano poco con il contesto, attraverso piccole porte d'accesso. E’ la città che si deve adattare intorno a loro.


Spesso queste istituzioni, per loro natura, hanno forte coscienza dell’impatto sociale della propria missione, sia essa culturale, educativa, di servizio pubblico, ecc. Ma non valutano e agiscono in modo consapevole per quanto riguarda il loro imprescindibile radicamento locale, e quindi in termini di responsabilità civica nei confronti dell’area e delle comunità che la abitano. Si tratta della loro responsabilità civica nei confronti dell'impatto locale. In analogia alle grandi sedi delle imprese private e headquarter, la responsabilità sociale consapevole in relazione al territorio che li ospita è ancora poco considerata. In pochissimi casi sono dotati di strutture di missione e strategia in relazione ai loro impatti locali, di tipo relazionale nei confronti di altri stakeholder (tipo fondazioni o uffici dedicati). Esiste però un enorme opportunità di coinvolgimento di questi grandi attori urbani in termini di costruzione di valore urbano condiviso, insieme alle comunità locali, al terzo settore, ad altri enti e soggetti privati, per migliorare i quartieri e la vita degli abitanti e utenti dell’area.


A fronte di un tema molto vasto, di seguito si presentano alcune considerazioni in merito tre tipologie di funzioni àncora urbane: università, istituzioni culturali e sanitarie.


Da un po’ di tempo si parla di terza missione per le università, che include in trasferimento di conoscenze e l’impegno civico nei confronti della società e dei territori. Tra le funzioni àncora, le università sono quelle che si stanno rendendo conto più in fretta del loro ruolo nei contesti locali e delle opportunità di impegno civico che ciò può comportare. Molti atenei si sono attrezzati in questo senso redigendo dei piani per la terza missione, sviluppando progetti dedicati, dialogando con gli attori del territorio, portando anche il proprio specifico know-how come contributo allo sviluppo locale. Il progetto Mapping San Siro del Politecnico di Milano, per fare ricerca e assistere sul campo la rigenerazione dell’omonimo quartiere è stato in questo senso precursore. Di recente anche il Politecnico di Torino ha lanciato un approccio simile con Aurora Lab.


In un contesto in cui le università devono competere per l’eccellenza, l’attrazione di studenti, professori e investimenti, a livello internazionale si inizia a riconoscere il potenziale di un’attività continuativa di costruzione di valore condiviso tra università e comunità, non come attività filantropica ma come potenziale di sviluppo reciproco. Ma molte opportunità di collaborazione restano ancora da esplorare, e mettere in pratica. Il potenziale, fondato proprio sul DNA universitario, riguarda il supporto sociale ed educativo delle comunità, allo sviluppo economico, all’innovazione sociale, alle attività culturali, ecc. Può mobilitare attività di ricerca, laboratori, azione attraverso progetti concreti, ma anche volontariato di docenti e studenti.


Il diagramma degli ambiti della strategia di community engagement dell’Università di Edimburgo (2017)


Anche alcune istituzioni culturali hanno fatto grandi progressi nell’aprirsi al territorio e alle comunità di riferimento, avviando progetti artistici e culturali soprattutto in connessione con le scuole e il terzo settore cittadino. Ma si tratta in genere di una naturale espansione della propria mission culturale, verso il fronte educativo-divulgativo, di audience engagement, ormai considerato fondamentale perlomeno da tutti i grandi musei. Raramente lavorano “con” il territorio circostante. La guida di ICOM e OCSE del 2017 “Culture and Local Development: Maximising the Impact. A guide for local governments, communities and museums” indica molte strade per la collaborazione tra enti locali, comunità e musei, anche in un’ottica di economia locale e coesione sociale. In termini di rigenerazione urbana, indica che i musei possono intanto pensare alla propria pianificazione in un’ottica di contesto urbano; possono valorizzare il contesto comunitario e ambientale in cui sono inseriti; possono aiutare l’economia locale ade esempio in termini di facilitazione nello sviluppo di distretti creativi. Un caso positivo è la Tate Modern che da anni sviluppa un programma progetti artistici coinvolgendo gli abitanti di Southwark e Lambeth. La biblioteca Borsa a Bologna è un esempio invece di totale apertura fisica di uno spazio culturale alla città.


Tate Modern community garden, realizzato nel 20027 vicino al museo attraverso una collaborazione tra la Tate, Open Spaces Trust or the Regeneration & Community Partnerships


La sanità è uno ambito di intervento pubblico che ha beneficiato di recente dell’attivismo e impegno civico del terzo settore e delle imprese nella raccolta di fondi e supporto volontario per affrontare l’emergenza COVID. Ma in genere gli ospedali sono enormi strutture che dialogano poco con il territorio circostante, non hanno una visione esplicita di impegno nei confronti dei quartieri e delle comunità che il circondano. A livello internazionale, ci sono però dei casi interessanti. Il University of Maryland BioPark è diventato un’àncora esplicita per la rigenerazione del quartiere di Baltimora in cui è insediato, sviluppando 12 nuove strutture per ricerca e servizi in un quartiere degradato, ma in cui era presente una forte visione trasformativa da parte della Southwest Partnership. La struttura ospedaliera ha contribuito alla visione attraverso un intervento urbano diffuso, migliorando gli spazi pubblici e verdi, consapevole del proprio ruolo nel far crescere la vitalità urbana, creare posti di lavoro indotti e opportunità di innovazione economica e sociale.


Il masterplan dell’University of Maryland BioPark integrato nel quartiere di West Baltimore (architetti Gensler).


In conclusione, il tema è molto ampio e diversificato e necessita di ulteriori analisi, anche per mettere a punto strategie e modelli d’azione efficaci. Ma l’opportunità di costruzione di valore urbano condiviso e reciproci benefici, attraverso la collaborazione tra grandi istituzioni cittadini, comunità, terzo settore, imprese e enti locali, in tempi di risorse pubbliche scarse e sfide sociali e ambientali significative, è di grande interesse e potenziale.


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