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Asset of Community Value. Beni comuni in salsa inglese

Un Asset of Community Value (ACV) è, nella legislazione inglese, una denominazione riferita a una proprietà ritenuta di significativo valore sociale, culturale, ricreativo e sportivo da parte di una comunità locale. Si tratta di una definizione e un’innovazione procedurale introdotta dal Localism Act, atto del Parlamento inglese approvato nel 2011, che riguarda vari ambiti di trasferimento di potere decisionale dal livello centrale ai livelli locali (cosiddetta devolution).

Il pub Fox in Palmers Green è stato il primo Asset of Community Value nel Borough di Enfield a Londra, nominato nel 2015: un pub standard ma importante per gli abitanti del quartiere. Fonte immagine: Philafrenzy https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48077248


Le organizzazioni non profit e i raggruppamenti informali di cittadini/e di un territorio possono candidare un bene (edificio o terreno) ad essere incluso in un registro degli ACV dell’autorità locale competente in materia di decisioni urbanistiche e edilizie sul bene stesso. L’effettiva registrazione comporta una serie di conseguenze:

  • “Material planning consideration”: lo status di ACV diventa elemento da considerare per l’ente locale nel caso di planning application con la possibilità di rifiutare il permesso di abbattere o trasformare l’uso e le caratteristiche del bene (NB tenendo conto delle caratteristiche di maggiore discrezionalità del sistema urbanistico inglese, legato alla tradizione della Common Law). Non si tratta di un vincolo legale assoluto (non statutory), bensì di un aspetto valutativo aggiuntivo.

  • Il proprietario di un ACV registrato deve informare il governo locale se intende vendere il bene. Se il bene viene messo in vendita, la comunità che ne ha ottenuto la registrazione deve essere informata e dispone di sei settimane di tempo per presentare una propria dichiarazione di interesse ad acquisirlo. Non si tratta di molto tempo certamente, ma il punto è che il processo consente di essere informati, arrivare preparati avviando il fundraising in tempo, se possibile mobilitare anche l’autorità locale e altri, e tentare di difendere il bene.

  • “Community right to bid”: a seguito della dichiarazione d’interesse da parte della comunità, è prescritto un periodo di sospensione della vendita fino a 6 mesi, affinché la comunità possa raccogliere i fondi per l’acquisto della proprietà. Il proprietario non è comunque obbligato ad accettare quest’offerta.

  • “Compulsory purchase right”: il bene potrebbe essere acquistato in modo obbligatorio dall’autorità locale competente se si ritiene che la perdita sia una minaccia significativa di lungo termine per l’interesse della comunità.


La registrazione al registro ACV vale per 5 anni e poi viene automaticamente annullata. Alla scadenza, la comunità locale può proporne nuovamente la registrazione.

Il meccanismo serve per aumentare le possibilità che un bene, considerato di grande valore per una comunità locale, venga mantenuto nella sua funzione sociale e nel suo valore architettonico o paesaggistico. L’obiettivo è prevenire che venga trasformato definitivamente per finalità puramente estrattive e speculative, non coerenti con il valore funzionale, affettivo, identitario che gli abitanti gli attribuiscono.


La spinta politica alla creazione di questo strumento è nata dall’osservazione di quanti servizi pubblici e privati - pub, negozi di beni essenziali e di prossimità, centri comunitari, centri culturali, spazi per bambini, biblioteche, parchi, giardini, orti urbani, impianti sportivi, ecc. – sono stati persi e trasformati negli ultimi decenni per rispondere a spinte di mercato legate all’aumento dei valori immobiliari, a processi di gentrificazione, di forte omologazione funzionale di alcuni quartieri, oppure allo spopolamento e impoverimento di villaggi rurali e territori più marginali.


Queste funzioni, anche se magari piccole in termini di dimensioni e valore economico (ma non sempre), rappresentano spesso gli ultimi spazi a disposizione delle comunità per mantenere la propria identità storica, aggregazione, diversità sociale ed economica, attività commerciali di base, ricreative e sportive realmente accessibili. Quando le comunità si accorgono dei processi di trasformazione immobiliare che stanno per riguardare questi beni, e delle loro conseguenze, spesso si sentono travolte dalla rapidità, dall’entità dei finanziamenti e interessi in gioco. La mobilitazione politica e la protesta possono non essere sufficienti. Diventa più utile reagire costruttivamente con progetti alternativi e collettivi forti da opporre a quelli del mercato puramente profit. Cambiando contesto, la vicenda della High Line a New York è stata un esempio straordinario in questo senso.


Con gli ACV, la legislazione urbanistica inglese ha quindi definito dei processi e meccanismi per riconoscere il valore sociale fondamentale di alcuni beni. Non si tratta di impedire le trasformazioni da parte di operatori privati, neanche di tutelare esclusivamente funzioni non profit e sociali. L’obiettivo è rafforzare la capacità di contribuire e concorrere attivamente alle trasformazioni urbane da parte delle comunità locali, più deboli e svantaggiate in partenza rispetto agli investitori e i sviluppatori immobiliari, ma fortemente motivate.


In particolare, molti pub inglesi sono stati registrati quali ACV. Il numero dei pub in Inghilterra e Galles è diminuito costantemente: secondo uno studio di Altus Group, da circa 47.000 nel 2012 a 40.000 oggi. La pandemia, l’aumento dei costi per l’energia e la crescente offerta di locali di ristorazione e per il tempo libero alternativi, anche da parte di catene commerciali, non hanno favorito la loro sopravvivenza.


Per gli Inglesi il pub è un po’ il salotto di quartiere, del villaggio. Si tratta del Third Place per eccellenza nella cultura inglese, ambiente ricreativo “a bassa soglia”, “terzo” rispetto alle dimensioni e spazi di vita delle altre due dimensioni di casa e lavoro (cfr Ray Oldenburg, “The great good place”). Malgrado il lato sfidante in termini sociali e sanitari di una cultura nazionale ancora fortemente incentrata sull’alcool, che può tendere all’abuso, le “public house”, soprattutto quelle storiche e a gestione famigliare, rimangono, nella cultura anglosassone, luoghi fondamentali, quasi mitici, di incontro, socializzazione, lotta all’isolamento e rafforzamento della comunità locale[1]. I pub sono anche molto cambiati negli ultimi anni. A seguito delle proibizioni sul fumo, l’apertura dei pub ai bambini, alle famiglie e ad altre culture (culinarie e non legate all’alcool) si è rafforzato il loro ruolo di centri di comunità, anche diverse e multiculturali.


In reazione a questa crisi di una fondamentale istituzione sociale del Paese, alla fine del 2015 ammontavano a 860 i pub registrati quali ACV, di cui 12 sono stati acquistati dalle comunità locali. Altre comunità ne stanno considerando l’acquisizione, mentre non esistono ancora casi di acquisizioni forzate da parte degli enti locali[2].


L’elenco dei beni registrati quali ACV non rigiarda però solo i pub. Include anche diversi impianti sportivi quali Ewood Park football stadiumOld Trafford football stadiumSt. Andrews football stadium, Blackpool Football Stadium, Bloomfield RoadBlackpool, Newbury Football Ground (West Berks), Reading FC's Madejski StadiumThe Valley e South Bank Undercroft. Anche in questo caso si tratta di luoghi che svolgono una funzione che viene considerata socialmente fondamentale, ma anche sono simboli dell’identità e storia locale.


Il caso della registrazione nel 2013 ad ACV dell’Old Trafford di Manchester, promossa dal Manchester United Supporters' Trust, è stato in questo senso simbolico. Il Club calcistico ha sempre dichiarato che non intende dismettere lo stadio, avendo anche investito diverse decine di milioni di sterline nel suo rinnovo e rilancio. Ma i tifosi, affezionatissimi allo stadio, hanno ritenuto di doversi cautelare nominando lo stadio quale ACV, per essere pronti a difendere l’edificio simbolo più importante di un’intera comunità, appoggiati in questo caso anche dal local Council[3].


Tra gli ACV registrati, ci sono anche diversi parchi e giardini. Nel quartiere di Islington a Londra., un’associazione di residenti, la Myddelton Square Association si è organizzata per mantenere il carattere e l’integrità storica e ambientale del parco in mezzo alla piazza, quale bene comune di rilievo. L’associazione esiste da 40 anni, ma poiché il parco è di proprietà privata, come molti giardini nelle piazze storiche di Londra, il suo futuro è sempre potenzialmente a rischio. Leaseholder e abitanti del quartiere in questo caso si sono uniti per una battaglia comune: impedirne la trasformazione e mantenere l’accesso pubblico, contribuendo anche con raccolte fondi per la sua gestione e attività da svolgere nel parco.


In un altro contesto, gli abitanti di Brockley, nel quadrante sud-est della metropoli, hanno raccolto 100.000 sterline per salvare il piccolo bosco di Gorne Wood, un’importante rimanenza di una foresta antica, di oltre 400 anni[4].


Gli abitanti di Brockley a Londra si sono mobilitati per salvare la foresta storica di Gorne Wood (Fonte immagine: https://www.bbc.com/)

 

Come riporta CityLab di Bloomberg[5], l’ultima proprietà londinese registrata quale ACV è un Tesco Express, un piccolo supermercato commerciale in Dean Street. Non si tratta di un bene storico, ambientale, e neanche a finalità sociale. Questo negozio però rappresenta l’ultima possibilità di fare la spesa quotidiana di base a prezzi ragionevoli per i 3.000 abitanti rimasti a Soho, quartiere molto noto e ormai quasi interamente dedicato alla ristorazione, vita notturna, uffici e gallerie. Il valore comunitario in questo caso riguarda la possibilità di vivere in un quartiere diventato ormai quasi mono-funzionale. L’attenzione nei confronti di questo tema ha spinto Westminster Council a rifiutare la richiesta di alcuni investitori di trasformare questo spazio in uno spazio per uffici o bazar d’arte.



Un piccolo supermercato Tesco può essere un bene di importanza comunitaria se localizzato in un quartiere come SoHo a Londra, dove non ci sono più negozi di prossimità a prezzi accessibili per gli ultimi abitanti rimasti (fonte immagine: https://www.standard.co.uk)

 

La legislazione per gli ACV rientra nel quadro più ampio dei “community rights” elaborata dal governo inglese a disposizione in termini legali per le comunità, siano esse legate a quartieri di medie-grandi città o villaggi, a preservare o migliorare il benessere, la coesione sociale, la qualità della vita del territorio che abitano. Gli strumenti messi in campo per aiutare le comunità di territorio a preservare la propria identità, storia, mix sociale, opportunità di sviluppo in questo senso sono diversi e illustrati nel sito https://mycommunity.org.uk, promosso da 12 importanti organizzazioni del terzo settore che si occupano di supporto alle comunità.


Fanno riferimento alla più ampia famiglia degli strumenti che riguardano[6]: la pianificazione e lo sviluppo edilizio per le comunità (Neighbourhood Planning, Community Right to Build, Community Infrastructure Levy), difesa dei beni comuni (Asset of Community Value, Community Right to Bid, Community Asset Transfer, Community ownership or management), meccanismi di fundraising comunitario (Community shares, Crowdfunding), di gestione comunitaria (Community Right to Challenge, Community-led buildings, Compulsory Purchase Order).


Un mix di legislazione urbanistica accogliente e dialettica nei confronti dei diversi interessi, anche i più deboli, e approcci economico-gestionali realistici contribuisce a creare uno spirito diverso per affrontare e accompagnare i processi di trasformazione urbana in cui le comunità locali possono andare oltre la discussione pubblica e protesta, per organizzarsi e competere (quasi) a pari livello con gli investitori e i developer. Da posizioni difensive legate puramente alla salvaguardia di un bene e della sua funzione, il confronto si sposta alla segnalazione del suo valore per rendere viva e coesa una comunità locale, ai benefici e costi che comporterebbe una sua dismissione o trasformazione. 


A confronto con le teorie e pratiche italiane su tutta la materia dei beni comuni, l’interesse di queste esperienze anglosassoni (peraltro sviluppate anche in Scozia, ma con in modo leggermente diverso) è legato al pragmatismo nel tentare di fornire strumenti giuridici e operativi per rafforzare il valore della co-progettazione, finanziamento comunitario e gestione locale di beni che hanno valore per le comunità anche se privati e dotati di un notevole valore patrimoniale, a fronte di potenziali di investimento privato molto rilevanti e ovviamente agguerriti.


In Italia le pratiche per il riconoscimento e l'innovazione di gestionale dei beni comuni sono concentrate nei fatti su beni pubblici, la maggior parte di ridotto valore patrimoniale (aree verdi residuali o edifici per originarie funzioni sociali e culturali in aree periferiche) o qualche tentativo anche di notevole valore ma difficile trasformazione (edifici storici con notevoli vincoli e che richiedono grandi investimenti). Nel caso inglese i beni di valore comunitario possono essere indifferentemente pubblici, privati o non profit, piccoli o grandi, di pregio o meno, ma in ogni caso viene considerato realisticamente anche il tema del valore di mercato e dei legittimi interessi degli investitori immobiliari nei confronti dei quali le comunità locali devono dotarsi degli strumenti adatti per confrontarsi.


La dialettica tra visioni e interessi può diventare un’enorme opportunità di dialogo sulle città e i territori che vogliamo creare collettivamente e magari portare a soluzioni win-win tra privati e comunità locali.  


[1] Thurnell-Read, Thomas (2021). Open arms: the role of pubs in tackling loneliness. Loughborough University. Report. https://hdl.handle.net/2134/13663715.v1


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