Sulla base di quale visione è nata la Fondazione Time 2?
La Fondazione Time 2 nasce nel 2019 dalla volontà di Antonella e Manuela Lavazza di dare vita ad un’organizzazione orientata alla filantropia strategica con il macro-obiettivo di favorire l’inclusione sociale. I due ambiti principali d’interesse sono le aree interne e zone montane, e le disabilità. Il compito mio e del team è stato di realizzare l’analisi dei bisogni che ci ha permesso di costruire una strategia e dei programmi di intervento commisurati alle esigenze emergenti nei territori e nei gruppi sociali di riferimento.
Qual è stato l’impatto della pandemia?
Mentre eravamo impegnati nella fase di avvio dell’organizzazione e nella definizione strategica del suo operato siamo stati colti dalla pandemia. Non potevamo stare a guardare e, nonostante la Fondazione abbia un’anima più fortemente operativa che erogativa, abbiamo deciso di impegnare delle risorse per il fronteggiamento dell’emergenza.
Quali sono state le prime attività?
Le fondatrici hanno deciso di mettere a disposizione delle organizzazioni del terzo settore nelle zone montane della Città metropolitana di Torino un milione di euro per sostenere l’attraversamento della crisi. Abbiamo quindi lanciato il bando “Prossimi. Progetti per riattivare territori e comunità” su tre ambiti di azione: 1. Educazione, aggregazione e sport; 2. Lavoro, nuove economie e autonomie; 3. Cultura, cittadinanza attiva e comunità. Sono arrivate 260 candidature e ne abbiamo selezionate 59. Oltre a erogare il contributo, abbiamo aiutato a creare delle comunità di pratiche, in particolare per socializzare le difficoltà realizzative che i progetti stavano incontrando, a causa della pandemia. Abbiamo accompagnato i progetti attraverso numerosi incontri online. Inoltre abbiamo messo a disposizione una formazione sul crowdfunding con la collaborazione di Rete del Dono. Questo ha consentito ad alcune organizzazioni di avviare dei percorsi autonomi di raccolta fondi, che non avevano mai svolto prima.
Quale lettura emerge dal processo di realizzazione di questi progetti in territori marginali?
Gli enti del terzo settore in queste zone marginali sono in gran parte molto piccoli e a volte poco strutturati. Svolgono attività imprescindibili nel mantenimento della vitalità del tessuto sociale in termini di reti di prossimità, presidio dei luoghi, assistenza alle fasce in difficoltà della popolazione. Sono anche spesso guidati da persone che hanno compiuto forti scelte individuali di vita, lavoro e radicamento locale. Ma può succedere che agiscano con grande dispendio di energie, dispersione degli obiettivi, replicazione di attività simili e polverizzazione delle risorse.
Quale pensate possa essere il vostro contributo all’inclusione sociale in questi territori?
Una linea di sviluppo possibile potrebbe essere di affiancare gli enti “estremamente piccoli” di questi contesti a fare rete e diventare più solidi e strutturati, producendo impatti maggiormente significativi. In queste aree ci sono a volte straordinarie “scintille d’innovazione”, ma che si scontrano con problemi di assetto amministrativo e progettuale. Abbiamo incontrati casi affascinanti tra i partecipanti al bando Prossimi di incontro tra microimpresa e associazionismo e ci piacerebbe rendere possibili storie apparentemente "impossibili".
E sul fronte di sostegno alle disabilità?
Stiamo studiando la nostra modalità d’intervento nei confronti delle disabilità a partire dall’evidenza del bisogno relativo all’accompagnamento al passaggio alla vita adulta. Dalle analisi emerge un vuoto culturale e la scarsa integrazione tra i servizi che si occupano di passaggio alla vita adulta delle persone con disabilità intellettiva. Vorremmo sviluppare un programma innovativo che metta al centro la persona con disabilità e il suo progetto di vita indipendente. Dovremo affrontare molti aspetti: il cambiamento dei ruoli all’interno del sistema famigliare, lo sviluppo della consapevolezza del sé nella persona con disabilità, l’ambito dell’indipendenza lavorativa e abitativa. Le disabilità devono essere affrontate a partire da un approccio sistemico: il problema non è la differenza individuale in quanto tale, ma il rapporto tra questa differenza e la capacità o meno dei contesti di essere abilitanti o disabilitanti. In questo senso servono anche azioni formative, di advocacy, di ingaggio delle comunità di riferimento e, anche in questo caso, di capacitazione del terzo settore. Stiamo apprendendo tanto e cerchiamo, a piccoli passi meditati, di realizzare un programma di intervento che sappia integrarsi a ciò che esiste apportando un nuovo contributo.
Samuele Pigoni
Direttore della Fondazione Time2. Di formazione filosofica, è esperto di design strategico, management del Terzo Settore e progettazione sociale. Cura la rubrica 'Filosofia e società' per la rivista Confronti. E’ in formazione presso il Master Triennale in Counseling Sistemico Narrativo dell’Istituto Change (Torino). E' appassionato di cultura, camminata e relazioni umane.
Comments